In questi giorni non mancano le manifestazioni ufficiali per celebrare solennemente, alla presenza delle autorità istituzionali, i trentacinque anni dal terremoto, che il 23 novembre 1980 devastò la nostra terra, con un’intensità superiore al 10° grado della scala Mercalli e un magnitudo pari a 6,9 della scala Richter. Una scossa interminabile, durata 90 secondi, fece tremare l’arco montuoso dell’Appennino meridionale, radendo al suolo decine di paesi dell’Irpinia e della Lucania e decimando le popolazioni locali.
Ancora oggi il ricordo di quella tragedia storica, suscita in chi l’ha vissuta sulla propria pelle emozioni assai forti e contrastanti, di sgomento e dolore, un profondo senso di sofferenza e turbamento, di inquietudine e rabbia.
È nitido e vivo il ricordo del boato che precedette la scossa, qualcosa di indescrivibile, paralizzante che non ci diede nemmeno il tempo di capire che cosa stesse succedendo. In un attimo tutto si trasformò in inferno, in angoscia, per poi lasciare il posto ad un terrificante silenzio.
Abbiamo assistito alla morte di un mondo, di un modo di vivere, quel terremoto ha segnato la fine di una civiltà aprendone una nuova.
Tutti dicono che è una data, quella del 23 novembre 1980, “spartiacque”, le nostre vite sono state sconvolte duramente, non solo sotto il profilo umano e psicologico, ma anche sul piano economico, sociale e culturale. Il terremoto ha stroncato migliaia di vite umane, ha stravolto intere comunità, ha segnato per sempre le coscienze e la sfera degli affetti più intimi.
Nei giorni successivi si sono vissuti sentimenti di dolore e di sconforto sia per il dramma delle vite spezzate ma, anche, per la distruzione della propria casa.
Distruggendo le case il terremoto ha distrutto l’identità delle persone, perché la “casa non è altro che il ritratto della coscienza di un uomo”, il luogo degli affetti, la rappresentazione urbanistica della sua visione della vita e del mondo. Perdendo la casa l’uomo perde la sua identità e il suo rifugio “sicuro”.
Ma accanto a questi sentimenti di terrore, si sono vissuti anche momenti di grande solidarietà umana, soprattutto dopo il forte grido di accusa del Presidente della Repubblica Sandro Pertini e della prima pagina del Mattino con quel titolo “FATE PRESTO”, che rappresentava meglio di tutto la pressante richiesta di aiuto che arrivava dalle zone colpite.
Infatti, come sostiene Paolo Mieli, “il vero personaggio-simbolo del dopo-terremoto fu l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Fu, infatti, Pertini il primo a percepire, malgrado i ritardi nella comunicazione, quello che stava succedendo in Irpinia. E fu ancora Pertini il primo a presentarsi in televisione non solo per parlare del terremoto, ma soprattutto per puntare il dito accusatore (ed era la prima volta che questo accadeva da parte di un uomo all’apice delle istituzioni) contro un ceto politico e amministrativo, non soltanto locale, che appariva responsabile del mancato aiuto, nei giorni immediatamente successivi al terremoto”.
Per noi montoresi lo sgomento ed il terrore di quei giorni lontani, furono mitigati dalla solidarietà e dalla presenza serena e sincera della gente di Varese che, in punta di piedi, entrò nelle nostre vite, per non uscirne mai più.
Ma in quegli anni si diffuse anche un maggior senso di solidarietà, di unione, di vicinanza tra noi cittadini, si diffuse un maggior senso di attaccamento alla nostra terra, che ci ha permesso di superare quei drammatici momenti. Poi, tutto questo con gli anni si è diradato, dovuto anche alla trasformazione della nostra società, si è perso quel senso di vicinanza che ha portato ad un affievolirsi dei rapporti interpersonali e sociali.
Ma, penso, che oggi, ricordando quei tragici momenti dovremmo dire che dalle crisi, dagli eventi drammatici si può uscire, abbiamo la capacità di farcela e il metodo è proprio quello della coesione e del sentirsi appartenenti alla stessa comunità.
Per noi, cittadini di Montoro, si presenta in questo contesto storico, una nuova sfida, quella di ricostruire la nostra identità, di un comune unito a seguito della fusione delle due municipalità, avvenuta sul piano formale, ma da realizzare su quello sostanziale. Per questo abbiamo bisogno di un’amministrazione, che in modo sincero, ci faccia vivere un tempo di condivisione, di coesione, di nuove idee, che vanno oltre l’ordinarietà e l’apparenza, e che consentano la costruzione della nuova città e di uno sviluppo sostenibile. La necessità è quella di riunire il tessuto sociale di questo territorio, affinché si formi una comunità cosciente e orgogliosa di sé, unita e coesa verso il futuro, perché, come scrisse Walter Veltroni, “il futuro è l’unico tempo in cui possiamo andare”.
Con il terremoto del 1980 un mondo è finito, ma uno nuovo è nato dalle sue macerie.
Antonio Parrella
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