CYBERBULLISMO
L’evoluzione tecnologica, laddove non correttamente utilizzata, può rappresentare un vero e proprio fattore criminogeno. Si pensi a tutte quelle fattispecie realizzate con il ricorso a strumenti informatici o telematici, che hanno costretto il legislatore ad intervenire con la previsione di reati ad hoc.Vi è da dire che quando il legislatore interviene significa che la previsione dei reati si è già manifestata in termini problematici. Il poter agire senza esporsi in prima persona, ma nascondendosi dietro uno schermo, spingeun numero maggiore di soggetti a delinquere. Detto fenomeno coinvolge soprattutto il mondo giovanile stante la dimestichezza hanno con il mondo virtuale e gli strumenti ad esso annessi. Ed è proprio in tale contesto che si è sviluppato e diffuso il cyberbullismo, fenomeno che, a causa delle potenzialità comunicative dei social network, ovvero della velocità e della pluriconriennessione e condivisione, ha assunto caratteri preoccupanti. Ed è proprio a causa di questa larga diffusione che il legislatore italiano ha deciso di predisporre un primo strumento normativo attraverso la legge n. 71/2017. La peculiarità della mentovata normativa sta nel suo carattere preventivo e di contrasto al cyberbullismo, rilevandosi come l’unica misura sanzionatoria è rappresentata dall’ammonimento, d’altronde già prevista per il reato di cui all’art. 612-bis c.p. Stante la giovane età dei soggetti vittime e autori di cyberbullismo, il legislatore ha deciso di fronteggiare il fenomeno ricorrendo a strumenti di natura diversa dal diritto penale, quale ad esempio la possibilità di presentare istanza, al gestore del sito o del social network, per l’oscuramento o la rimozione dei contenuti rientranti nella fattispecie di cyberbullismo.
REVENGE PORN
Ma il cyberbullismo non è l’unico fenomeno alla quale il legislatore ha prestato attenzione. Infatti attraverso l’introduzione dell’art. 612-ter nel codice penale il legislatore ha inteso criminalizzare in via diretta tutte quelle pratiche volte alla pubblicazione di immagini sessualmente esplicite senza il consenso del soggetto raffigurato, c.d. “revengeporn”. Stiano di fronte a condotte connotate daun’impatto devastante per il soggetto che le subisce, ciò in quanto la vittima vede violata la propria privacy attraverso la diffusione di immagini che la ritraggono nel proprio intimo. Ciò avviene attraverso una diffusione che può definirsi incontrollabile, in quanto effettuata con l’ausilio di internet, capace, quindi, di raggiungere un numero indefinito di soggetti, rilevandosi come le immagini, scaricate su i veri device, restano alla mercé di milioni di persone senza che vi sia un’effettiva possibilità di rimuoverle. L’avvento delle nuove tecnologie informatiche e, in particolare, degli smartphones, hanno reso semplice la realizzazione di fotografie e video, permettendo a chiunque di produrre senza difficoltà immagini dal contenuto sessuale. Potremmo quasi definirla una pornografia “a portata di click”. Con la differenza, di non poco conto, che la costante connessione di tali strumenti alla rete consente la rapida ed immediata condivisione dei materiali creati con una o più persone. Questa crescente smaterializzazione è passata soprattutto attraverso il c.d. sexting, ovvero la prassi di scambiarsi proprie immagini erotiche. Vi è da puntualizzare che il sexting se messo in atto da adulti consenzientinon costituisce reato, ma lo diventa nel momento in cui viene compiuto tra persone maggiorenni ma connotato da forme di estorsione o di vendetta, cd revengeporn, o nei casi nei quali nello scambio di foto o video vengono coinvolti soggetti minori. Stante la diffusione sempre più ampia e maggiore della creazione di immagini pedopornografiche da parte dei minorenni, la giurisprudenza si è posta la questione, rimessa alla Sezioni Unite, incentrata sul “se, e in quali limiti, la condotta di produzione di materiale pornografico realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne, nel contesto di una relazione con persona maggiorenne, configuri il reato di cui all’ art. 600 ter c.p. , comma 1, n. 1″. Supremo consesso ( sent. 4616 del 28.10.2021) risolve il contrasto interpretativo statuendo che “la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter comma 3 e 4, c.p., ed il minore non può prestare il consenso ad essa”.
TRATTAMENTO DEI DATI DEL MINORE
La diffusione dei diversi social network, ciascuno contraddistinto da specifiche funzionalità e rivolto a particolari categorie di utenti, hanno trasferito nella dimensione virtuale aspetti e momenti tipici delle relazioni interpersonali. Ogni accesso alla rete internet implica una inevitabile quanto consistente circolazione di dati riferiti a ciascuna persona, a cui solitamente è richiesto di indicare le proprie generalità, di condividere la posizione o di acconsentire all’accesso ai contatti inseriti in rubrica, alla fotocamera, al microfono, alle immagini o a qualsiasi altra informazione disponibile sul device adoperato per fruire di determinati servizi online. Detta tematica si connota di profili problematici laddove la si relaziona ai minori. Quello dei dati rappresenta un vero è proprio “mercato”, alla stregua di altri settori, pertantosi deve porre l’accento sulla trasparenza e la tutela dei soggetti coinvolti, chiedendosi se i tradizionali modelli informativisiano adeguati, soprattutto laddove siano coinvolti soggetti minori. Si ritiene, pertanto, che nel caso di soggetti minorenni non può affatto sostenersi che la prestazione di un consenso sia sinonimo di una reale consapevolezza dei rischi legati ad una circolazione, spesso incontrollabile, dei dati. Invero, stante la fragilità emotiva e la genuina istintività che caratterizza i minori (adolescenti e bambini), , deve prendersi atto che essi non sono in grado di “valutare correttamente situazioni pericolose, non essendo pienamente consapevoli delle conseguenze che potrebbero scaturire dalle loro azioni virtuali”. Difatti, nella contrattazione online e nell’accesso ai servizi digitali nel web e più in generale nell’accesso ad Internet, il consenso al trattamento dei dati viene in un certo senso”imposto”, ciò in quantola semplice ipoteso di rifiutarlo risulta sostanzialmente astratta se non totalmente impraticabile, allorché si consideri che tale scelta è per lo più sinonimo di rinuncia all’accesso al servizio o all’acquisto, cui il consenso è connesso. Si evidenzia come se per alcune operazioni negoziale è richiesto che i responsabili del trattamento dei dati ottengano il consenso dei genitori prima di trattare i dati personali dei minori, tuttavia, deve rilevarsi che non vi è alcun “previo” obbligo di verificare la reale età del minore o l’effettivo coinvolgimento di chi esercita la responsabilità genitoriale. Prova ne è che, nonostante alcuni tentativi di sviluppo di standard di riconoscimento, non risultano in uso adeguate procedure per verificare online l’età di un minore, tanto più se si tiene conto della possibilità, propria specialmente dei minori, di mentire, fingendo di essere più grandi, come quando fingono di essere i loro genitori (anche utilizzando i documenti di identità o i dati identificativi di questi ultimi). Proprio perché nativi digitali, i più giovani sono in grado di eludere, con estrema facilità, le norme poste a tutela dei loro dati ed è nella consapevolezza di tale fatto che, andando oltre la più tradizionale responsabilizzazione genitoriale. Non può non considerarsi che nella realtà digitale occorre prevedere strumenti di controllo più incisivi. Il rischio per il minore non è solo quello di perdere il “controllo sui propri dati”, ma anche di risultare più vulnerabile, sia sotto il profilo della lesione della propria reputazione con il possibile rarefarsi dei contatti anche reali, sia più in generale perché nel contesto virtuale risulta effettivamente maggiormente esposto a comportamenti aggressivi deplorevoli. Parimenti non può trascurarsi che, specialmente per i minori, l’accesso alle piattaforme d’informazione e comunicazione rappresenta un diritto strumentale alle più comuni forme di socializzazione della nostra epoca, se non addirittura un mezzo di realizzazione della loro identità personale. Pertanto escluderli dall’utilizzo da tali strumenti finirebbe per infliggere “un evidente vulnus ai diritti fondamentali di questi ultimi”. Il difficile obiettivo è quello di un bilanciamento tra esigenze di tutela della persona e libertà di autodeterminazione che riguardino la disposizione di beni assai peculiari, quali sono i dati personali.
Obiettivo che ad oggi risulta irrisolto, stante le difficoltà del legislatore di adeguarsi ad una normativa capace di tutelare il minore, ovvero di contrastare il diffuso utilizzo improprio che il minore, incoscientemente, fa del web. Rispetto a tali fenomeni i dati sono notevolmente allarmanti. Con riguardo al cyberbullismo, secondo l’osservatorio indifesa 2023, il 47,7% dei giovani è vittima di bullismo o cyberbullismo e il pretesto principale per il quale vengono attaccati è l’aspetto fisico (ce lo dice il 37% dei partecipanti). Seguono, ma con ampio distacco, origine etnica 7%; orientamento sessuale 5% ; condizione economica 3,5%; religione 3,3%; identità di genere 1,9%; disabilità 1,3%. 5 giovani su 10 hanno assistito a violenze fisiche – specie scherzi pesanti (38%) e aggressioni (19%) . Tra le violenze psicologiche invece spiccano episodi di emarginazione ed esclusione (48%) e le umiliazioni pubbliche (38%). Gli effetti di questo tipo di violenza tra pari generano perdita di autostima e di fiducia negli altri nel 38% dei rispondenti, oltre a isolamento e allontanamento dal resto dei coetanei ( 21% ). Il 21% nota un peggioramento del rendimento scolastico o addirittura il rifiuto della scuola . Il 19% tra ragazzi e ragazze dice di aver sofferto di ansia sociale e attacchi di panico, e tra gli effetti subiti dalle vittime di bullismo ci sono anche disturbi alimentari ( 12% ) depressione ( 11% ) e autolesionismo ( 8% ). Solo il 5% tra loro si rivolge ad un adulto o a uno sportello se assiste a episodi di bullismo o cyberbullismo. Il 14% non fa nulla , la maggioranza tra loro cerca di dare un supporto diretto alla vittima e non lasciarla sola 29,5%. D’altra parte, sia che ne siano vittime o meno, il 31,5% dei ragazzi e delle ragazze non parlano con nessuno di bullismo e cyberbullismo . Il 24% ne parla con amici , il 21% con la mamma (mentre solo il 3% ne parlerebbe col papà !) solo il 6% con gli insegnanti, solo l’ 1,42% ne parla con lo psicologo a scuola, nonostante i ragazzi chiedano a gran voce il supporto psicologico. A tal proposito per il 70% tra i partecipanti al sondaggio la scuola non fa abbastanza per prevenire questi due fenomeni.
Appare necessaria una coesione tra le istituzioni, le associazioni e le famiglie, una sorta di coesione sociale tesa a prevenire e contrastare il cyberbullismo. L’Associazione Legalità 2.0 è la prima Associazione in Italia ad occuparsi in maniera interdisciplinare del tema dei cyber crime e ad offrire tutela alle vittime dei reati online. L’Associazione nasce nel 2016, da un’idea di alcuni giovani professionisti del settore giuridico, informatico e psicologico, con lo scopo di educare gli utenti – con particolare attenzione ai soggetti più giovani e fragili – ad un utilizzo consapevole e sicuro della rete. Legalità 2.0 si propone di svolgere tale compito educativo attraverso una capillare attività di informazione e prevenzione dei fenomeni patologici che possono avvenire nella rete e delle loro possibili conseguenze sul piano economico, personale e relazionale. La mission è di creare un perimetro di legalità nella rete, tendere una mano alle vittime sotto un triplice profilo: giuridico, informatico e psicologico. “In rete mai nella rete” , è lo slogan che meglio rappresenta la mission dell’Associazione Legalità 2.0. Educare i ragazzi a navigare, ad essere “ in rete” in maniera corretta e consapevole, senza mai cadere “nella trappola della rete”. In questi anni abbiamo analizzato i “comportamenti digitali” degli adolescenti, i loro bisogni di sicurezza in rete e la loro percezione di rischio. L’analisi è stata condotta attraverso l’ascolto delle famiglie e del personale scolastico, la rilevazione delle conoscenze relative a precedenti esperienze, la sottoposizione di questionari conoscitivi ed il successivo studio degli stessi, la valutazione della normativa attuale. Da questa analisi sono emersi i seguenti bisogni: – strutturali: coerenza tra percorso educativo e sicurezza della scuola; – organizzativi: condivisione di esperienze e di materiali; – educativi: maggior sensibilizzazione al riconoscimento e alla prevenzione.
Condizione indispensabile affinché il progetto possa realizzarsi è il coinvolgimento attivo di tutte le Istituzioni e la concertazione tra gli interventi. Esaminando i questionari relativi alla percezione che gli adolescenti hanno delle Scuole, dei genitori e della rete ed osservando i comportamenti diffusi nell’ambiente scolastico, si comprende l’utilità di interventi che non si limitino a proporre regole esterne, bensì coinvolgano tutti i soggetti nella costruzione del senso della norma e nell’adozione di regole condivise. I pericoli della rete, pertanto, si contrastano attraverso la prevenzione e la sensibilizzazione di un uso consapevole e corretto degli strumenti digitali e, più in generale, di internet. È necessario che “nessuno resti soli, online e offline”.
Avv. Maria Beccio
Avv. Maddalena Corbisiero
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